La bioimpedenziometria (BIA) è una metodica ampiamente utilizzata per valutare la composizione corporea, in particolare nei contesti di dimagrimento. La sua popolarità deriva da una combinazione di fattori: rapidità, non invasività, costi contenuti e una parvenza di oggettività tecnologica. Ma questa fiducia quasi dogmatica nella BIA, soprattutto nei soggetti in sovrappeso o obesi sottoposti a dieta dimagrante, merita una riflessione critica.
Limiti metodologici: la fragilità della precisione
La BIA misura la resistenza e la reattanza dei tessuti al passaggio di una corrente elettrica a bassa intensità, basandosi sul principio che i tessuti magri, ricchi di acqua ed elettroliti, conducono meglio rispetto al grasso.
Il primo grande problema è che la BIA è estremamente sensibile a condizioni fisiologiche transitorie, come l’idratazione, l’assunzione recente di cibo, fumo di sigaretta (Caram et al., 2016), l’attività fisica (Romanowski et al., 2015) o persino il ciclo mestruale (Gleichauf et al. 1989). In soggetti in calo ponderale, che spesso sperimentano fluttuazioni nei livelli di liquidi corporei, queste variabili possono alterare profondamente le stime di massa grassa e magra, generando risultati clinicamente fuorvianti.
Studi recenti hanno confermato ciò che si sapeva da tempo e cioè che anche piccole modifiche nella distribuzione dei fluidi extracellulari possono portare a sovrastime della massa magra e sottostime della massa grassa, soprattutto nei soggetti obesi (Brunani et al., 2021). La perdita di peso in questi pazienti è spesso accompagnata da una riduzione dell’acqua extracellulare, che può essere interpretata dalla BIA come “perdita di muscolo” quando in realtà si tratta di semplice riequilibrio idrico (Lichtenbelt, W. D. V. M., 1999).
L’equivoco della “massa magra”
Il termine “massa magra” è spesso interpretato erroneamente come “massa muscolare”, ma in realtà comprende anche organi, acqua, e tessuto osseo. Nei soggetti in dimagrimento, dove il deficit energetico induce modificazioni complesse e non lineari della composizione corporea, la BIA non è in grado di discriminare tra questi compartimenti. Così, variazioni fisiologiche normali vengono medicalizzate e diventano oggetto di allarmismi clinici infondati (“Stai perdendo muscolo!”) che possono minare la fiducia del paziente o portare a modifiche inappropriate del piano nutrizionale (a esempio incrementando incongruamente la quota proteica).
Professionale o da supermercato? Nessuna differenza sostanziale
Un aspetto critico spesso trascurato è la presunta superiorità dei dispositivi BIA “professionali” rispetto a quelli domestici reperibili nei negozi di elettronica. Entrambi, infatti, si affidano a misurazioni spesso monofrequenza o multifrequenza con contatti plantari o palmari, utilizzando algoritmi predittivi proprietari raramente validati su popolazioni cliniche, come soggetti obesi in dimagrimento. Studi comparativi (Bosy-Westphal et al., 2008; Esco et al., 2018; Kutac et al., 2021) dimostrano che, sebbene i dispositivi di fascia alta possano offrire una lieve migliore correlazione con metodi di riferimento come la DXA, le differenze in accuratezza non sono clinicamente rilevanti. Non esistono evidenze solide che giustifichino l’elevato valore diagnostico attribuito ai dispositivi “da studio” rispetto a quelli domestici, se non per alcune funzioni accessorie o interfacce software più sofisticate. Gli errori sistematici, legati a idratazione e variabilità individuale, persistono in entrambe le categorie, rendendo ingiustificata la fiducia dogmatica nei dispositivi “da studio” per decisioni terapeutiche (Lloret Linares et al.).
Un rischio per la personalizzazione terapeutica
Utilizzare la BIA come riferimento primario per modificare un piano alimentare, senza integrarlo con altri indicatori clinici e funzionali (forza muscolare, performance fisica, sintomi, analisi di laboratorio), espone il percorso terapeutico a decisioni basate su dati potenzialmente errati. L’approccio dietetico in pazienti obesi deve fondarsi su una visione d’insieme, che includa l’aderenza comportamentale, il miglioramento della qualità della vita e della salute metabolica, non su variazioni percentuali potenzialmente spurie.
Conclusione
La bioimpedenziometria può rappresentare uno strumento ausiliario, che può utile per osservare tendenze nel lungo periodo, ma non può e non deve essere considerata un oracolo diagnostico. Nei soggetti in calo ponderale, specialmente obesi o in forte restrizione calorica, l’uso acritico della BIA può produrre errori interpretativi gravi.
Bibliografia
Brunani, A., Perna, S., Soranna, D., & Rondanelli, M. (2021). Body composition assessment using bioelectrical impedance analysis (BIA) in a wide cohort of patients affected with mild to severe obesity. Clinical Nutrition ESPEN, 45, 335–341.
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0261561421002259
Lloret Linares, C., Ciangura, C., Bouillot, J. L., & Coupaye, M. (2011). Validity of leg-to-leg bioelectrical impedance analysis to estimate body fat in obesity. Obesity Surgery, 21(4), 556–562.
https://link.springer.com/article/10.1007/s11695-010-0296-7
Lichtenbelt, W. D. V. M. (1999). Increased extracellular water compartment, relative to intracellular water compartment, after weight reduction. Journal of Applied Physiology, 87(1), 294–298. https://doi.org/10.1152/jappl.1999.87.1.294
Romanowski, W., Wasyluk, W., & Zwolak, A. (2015). Limits of body composition assessment by bioelectrical impedance analysis (BIA). Journal of Education, Health and Sport, 5(7), 1249–1256. https://apcz.umk.pl/JEHS/article/view/7208